Dalle cime del Lagorai alle gole di Taghia, essiccando!
Trail food a impatto zero: dalle cime del Lagorai alle gole di Taghia, mangiando essiccato!
Questa rubrica ci fa sognare, ad occhi aperti però, perché quel che ci racconta Elisa è pure realtà: è avventura, è voglia di vivere a contatto con la natura, di scoprirne angoli incontaminati e di lasciarli tali. Viaggiare a impatto zero oggi può davvero fare la differenza. Tutti ci spostiamo, tutti vogliamo assaporare la libertà di non avere confini ma il nostro passaggio non sempre è indolore, per l’ecosistema e per le tracce che, seppur involontariamente, spesso vi lasciamo. Sempre più coscienze però si stanno risvegliando e in questo processo rientra anche la scelta di come alimentarsi. I ragazzi di questo articolo hanno deciso di essiccare, per nutrirsi durante un’emozionante viaggio in Marocco. Ma facciamocelo raccontare da Elisa!
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Cosa accomuna 80 km di trekking in autonomia attraverso una delle più selvagge zone del Trentino con lo stare appesi ad una parete di roccia per quattro giorni di fila nel cuore del Marocco?
L’isolamento, l’abilità di sapersi arrangiare, una natura incontaminata nella quale lasciare meno tracce possibili del nostro passaggio. E delle buone scorte di cibo.
La sfida del trail-food a impatto zero (se ne era già parlato qui e qui) è cominciata col progetto di attraversare la catena del Lagorai in totale autonomia, bivaccando in tenda o in ripari essenziali come grotte chiuse da scarne assi di legno, contando solo sulle nostre forze per mostrare quanto riempia di soddisfazione vivere la montagna in modo slow (e per mostrare che, se ce la fanno due ragazzi come noi, di sicuro non serve costruire nuovi rifugi di appoggio e snaturare un’area così pura e incontaminata; di questo invece, nello specifico, abbiamo parlato qui).
Una sfida per certi versi simile ma fatta di bivacchi verticali è quella che ha impegnato Alessio Miori e i suoi soci Vincenzo Mascaro e Lorenzo Gadda su una delle più spettacolari pareti di Taghia, nelle gole del Marocco.
Guide alpine dall’anima green, occupati full time ad accompagnare sciatori e scalatori di qualsiasi livello tra le cime delle Dolomiti, passano il tempo libero a girare il mondo alla ricerca di pareti inesplorate sulle quali tracciare nuove vie di arrampicata. E sulla cima Thuiat hanno trovato quello che cercavano: 650 metri di roccia rossa verticale sulla quale nessuno aveva mai messo mano, abbastanza solida da permettere loro di salire in modo pulito, senza lasciare traccia. Vale a dire piantando il minor numero possibile di chiodi e “spit” e prediligendo invece protezioni veloci, rimovibili dopo il proprio passaggio.
Avevo incontrato Alessio per caso, una settimana prima che partisse. Stava impazzendo con i preparativi ed era preoccupato dall’organizzazione delle scorte. Non sapeva quanto tempo avrebbero dovuto passare appesi in parete prima di raggiungere la cima e si chiedeva come razionare cibo e acqua per restare il più leggeri possibile. La parete che avevano deciso di scalare si trova infatti a quasi due ore di cammino dal primo villaggio: l’apertura di una via dal basso richiede di potersi fermare nello stesso luogo a lungo, con costanza, per condensare nel più breve tempo possibile lo sforzo di immaginare una linea che dalla base arrivi fino in cima e poi tradurla in realtà a suon di tentativi, dandosi il cambio per guadagnare ogni giorno qualche metro in più verso la vetta.
Tutto ciò può richiedere di fermarsi a dormire in parete diverse notti, rannicchiati su cenge naturali lunghe poco più di una persona e senza mai togliere l’imbrago. Si inizia a scalare quasi alla cieca, lasciando che il primo si muova leggero e poi seguendolo, assicurati dall’alto, con sacchi a pelo, fornello, acqua, cibo e l’essenziale per vivere ridotto all’osso.
Ero da poco tornata dal Lagorai, e gli stavo raccontando di quanto si fosse rivelato utile il cibo da trekking essiccato fai da te. Leggero, economico e a lunga conservazione. Comodo come i bustoni di risotti pronti preconfezionati ma molto più sano, gustoso e soprattutto a impatto zero, essendo trasportabile in sacchetti riutilizzabili. Il mattino seguente Alessio si è chiuso in cucina con gli appunti delle mie ricette e ne è uscito otto ore dopo con un menù essiccato completo, il tutto a prova di climber affamati.
I ragazzi hanno impiegato otto giorni in tutto per raggiungere la cima, ogni tanto ricevevo foto di zuppe, pasta e fagioli o cous-cous di verdure al tramonto e li immaginavo appesi nel nulla ad addormentarsi sotto alle stelle con le braccia stanche e la pancia piena.
Per ogni pasto la procedura sempre la stessa: calcolando in anticipo la quantità di acqua necessaria per reidratare ogni sacchetto, erano riusciti a partire con le scorte contate. Ne mettevano a bollire lo stretto indispensabile sul fornelletto da campo, versandola poi direttamente nel sacchetto.
Dopo una decina di minuti la cena era pronta: nessuna stoviglia da lavare, nessuna spazzatura da buttare. Non sarà questo a ridurre la mole di rifiuti nel mondo, ma sono piccoli gesti del genere che ci abituano all’idea che lo zero waste e la filosofia del minimo impatto si possa praticare anche, e soprattutto, negli sport outdoor, dove entriamo direttamente in contatto con una natura che ci dà emozioni così forti proprio perché intatta e libera da tracce umane.
Dal loro incontro con cima Thuiat è nata una via di 17 tiri che hanno chiamato Libertà Berbera, e sperano che presto qualcuno vada a ripeterla. Difficoltà contenute dice Alessio, mediamente 6c e
massimo 7b+. Se fate parte di quegli eletti per i quali un settimo grado è una difficoltà “contenuta”, oppure vi volete fare accompagnare a scalarla, le informazioni le potete chiedere a loro cliccando qui!
Per scoprire (e magari preparare a vostra volta) una delle loro ricette invece continuate a leggere qui.
Zuppa di lenticchie, zucca e batata (per 2 persone)
• 1 zucca
• 2 batate (patate americane)
• 150 g di lenticchie
• una manciata di prezzemolo
• 1 spicchio d’aglio
• olio d’oliva
• semi di sesamo a piacere
Preparazione
Dopo averle sbucciate, tagliare zucca e batata a cubetti e lasciarle a rosolare in padella con uno spicchio d’aglio e olio d’oliva per una quindicina di minuti, fino a che diventano morbide. Aggiungere il prezzemolo tritato a fine cottura.
Bollire separatamente le lenticchie in acqua salata per venti minuti, poi lasciarle raffreddare e sminuzzarle per facilitare la reidratazione.
Unire tutto in padella, aggiungere sale, pepe e sesamo a piacere. Stendere uniformemente sui cestelli dell’essiccatore uno strato di circa un centimetro (usando i fogli antiaderenti in silicone Sildrop oppure della carta da forno).
Selezionare il programma P4 (14 ore a 68 gradi, più programma di mantenimento che permette di mantenere i prodotti al perfetto grado di essiccazione fino a che non li ritirate) e girare il prodotto di tanto in tanto per un’essiccazione più veloce. Ma, se avete più tempo a disposizione, potete usare l’alternativa economica: col programma P6 Economy saranno necessarie circa venti ore, ma si guadagna grazie al gran risparmio di energia.
Ad essiccazione ultimata il risultato deve presentarsi del tutto privo di umidità, altrimenti sarà necessario prolungare i tempi.
Conservazione
Il composto essiccato si conserva in contenitori chiusi ermeticamente per diversi mesi, in questo caso è stato subito trasferito in sacchetti monodose per il viaggio chiusi con un semplice nodo e ciascun sacchetto conteneva una cena per tre.
Consiglio di usare le buste che normalmente si acquistano per conservare il cibo in freezer e di scegliere quelle in Octene, una plastica particolarmente resistente che sopporta temperature fino a 100 gradi senza degradarsi e può essere riutilizzata diverse volte.
Reidratazione
Il procedimento è noto come “freezer-bag cooking”: si fa bollire la quantità d’acqua necessaria a reidratare il singolo pasto, la si versa nel sacchetto, lo si manipola per distribuire uniformemente il liquido e si lascia a riposare (possibilmente inserendolo in una busta termica o in un piumino per preservare il calore). Dopo una decina di minuti la zuppa è pronta!
Quantità d’acqua: per stabilire con precisione quanta utilizzarne sarebbe utile pesare ogni porzione prima e dopo l’essiccazione, la differenza di peso ci dirà quanto liquido è stato disperso, e quindi quanto ne sarà necessario a far tornare il pasto come prima. Per le porzioni indicate in questa ricetta servono circa 500 ml d’acqua, ma si può abbondare se si desidera una zuppa più cremosa.
Buon appetito a tutti gli sportivi alla lettura e ovviamente anche a tutti quelli che vorranno sperimentare questa ricetta!
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